Media e bufale: arriva il “bon ton” per giornalisti distratti

Due ricercatori statunitensi stilano un vademecum per proteggere la scienza dagli errori giornalistici. Tra le vittime delle prime pagine anche l’alcol. Ci sono le evidenze, i numeri, le interpretazioni. E poi ci sono i giornalisti che spesso sono del tutto all’oscuro di evidenze e numeri. Però non rinunciano con altrettanta facilità all’interpretazione. Una comoda scorciatoia che permette di saltare a piè pari la parte “gravosa” e di afferrare con estrema disinvoltura l’unica cosa che conta: la notizia. Sfortunatamente le vie brevi non di rado nascondono buche profonde nel loro percorso e incapparvi è tutt’altro che difficile. La frequenza con cui si sono verificati intoppi più o meno clamorosi nell’ultimo periodo ha spinto due ricercatori del Dartmouth Institute del New Hampshire a porre un freno all’orda di corbellerie che minaccia non solo la credibilità della scienza ma anche la corretta informazione dell’opinione pubblica. Un “fermi tutti” che Lisa Schwartz e Steven Woloshin lanciano all’intero mondo mediatico attraverso un singolare manuale di comportamento, una sorta di bon ton del giornalista, caldamente invitato ad informarsi prima di spararla grossa (1).

Un bufala tira l’altra
Tra gli esempi di flop mediatici finiscono addirittura i resoconti giornalistici su due lavori scientifici pubblicati su illustri riviste americane come il New England Journal of Medicine e il Journal of the National Cancer Institute. Il primo, non molto tempo fa, aveva pubblicato i risultati di un trial clinico effettuato su un nuovo farmaco anti-cancro, evidenziando chiaramente come le osservazioni riportate fossero assolutamente preliminari. Un passaggio che però deve essere sfuggito ai media, apparentemente impazienti di diffondere la notizia a sei colonne. In men che non si dica il farmaco in questione era diventato “la scoperta anti-cancro più importante degli ultimi dieci anni”.

Inutile soffermarsi sulle drammatiche conseguenze di un simile annuncio fatto ai megafoni mediatici, senza preoccuparsi minimamente delle ripercussioni. Ripercussioni che colpiscono soprattutto i pazienti e i loro familiari, alle prese con una improvvisa speranza, senza conoscere a fondo le difficoltà ed i tempi necessari per ottenere terapie veramente efficaci.

Alcol da riabilitare
Il secondo caso eclatante finito nel libro nero dei due autori riguarda l’alcol e la sua presunta capacità di aumentare il rischio di cancro nelle donne, anche a dosi moderate. Fatto sta che quest’anno dalle colonne del Journal of the National Cancer Institute il team guidato da Naomi Allen della blasonata Università di Oxford pubblica uno studio in cui sostiene che ad ogni drink alcolico consumato in più si associa un aumento di rischio di cancro nelle donne (2). Apriti cielo.

Una ghiotta occasione per sparare in prima pagina l’ennesimo assalto. Peccato però che gli zelanti giornalisti abbiano omesso alcuni dettagli importanti per una giusta valutazione della ricerca.
In pratica – ricordano i due ricercatori – tra un consumo massiccio di alcol (più di 15 drink a settimana) e un consumo molto basso (uno o due drink a settimana) la differenza del rischio era a malapena dello 0.6 percento in sette anni, cioè circa lo 0.09 percento all’anno.
Un particolare che i media devono aver trascurato presi come erano a battere la clamorosa notizia “A drink a day raises women’s risk of cancer” (un drink al giorno aumenta il rischio di cancro nella donne).

Ma di cantonate, in materia di alcol, i media ne hanno prese parecchie. Uno degli episodi più recenti è quello che riguarda il rapporto francese su alcol e incidenza di tumori (3), in cui però a rimetterci la faccia non sono stati solo i giornalisti, ma soprattutto gli addetti ai lavori della sanità d’oltralpe.
Dopo aver diffuso un corposo dossier che in pratica metteva alla gogna qualsiasi tipo di consumo alcolico ed aver conseguentemente allertato la stampa e l’opinione pubblica di mezzo mondo, i governanti francesi sono stati costretti ad un rapido dietrofront, ammettendo pubblicamente i numerosi limiti scientifici del rapporto stilato dall’Institut National du Cancer (4).

L’impietoso j’accuse dei due ricercatori americani non si limita così all’incompetenza di certa stampa. Visto che ci sono, preferiscono togliersi tutti i sassolini che negli anni hanno accumulato nelle scarpe. Così, dopo aver strigliato gli esponenti dei media, non disdegnano una buona tirata d’orecchie alle stesse riviste scientifiche, accusate di essere talvolta troppo distratte, magari omettendo di riportare le limitazioni dello studio nell’abstract degli studi e nei comunicati stampa, i soli documenti che il più delle volte finiscono nelle mani dei giornalisti. Ma dopo la sfuriata, Schwartz e Woloshin si riscoprono profondamente misericordiosi, pubblicando un prezioso vademecum per evitare che in futuro la scienza soccomba nel temibile tritacarne mediatico che tutto move.

Marialaura Bonaccio

Giovanni de Gaetano
Università Cattolica del Sacro Cuore – Campobasso
Fonte:
(1) Woloshin S. et al., Promoting Healthy Skepticism in the News: Helping Journalists Get It Right, JNCI Journal of the National Cancer Institute 2009 101(23):1596-1599
(2) Allen NE et al., Moderate alcohol intake and cancer incidence in women, J Natl Cancer Inst. 2009 Mar 4;101(5):296-305
(3) Alcool et risque de cancers: État Des Lieux Des Données Scientifiques et Recommandations de Santé Publique, 2007, Institut National du Cancer (INCa)
(4) Haut Conseil de la santé publique, AVIS relatif aux recommandations sanitaires en matière de consommation d’alcool, 1er juillet 2009

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