LA BIRRA IN LETTERATURA – TERZA ED ULTIMA PUNTATA

Si conclude con questa puntata il viaggio di Birrainforma attraverso la storia della letteratura alla ricerca delle origini della birra

Lo scrittore e giornalista inglese George Orwell, in un saggio intitolato “La luna in fondo al pozzo”, oltre a descrivere il suo pub ideale narra le qualità organolettiche che questa bevanda dovrebbe avere e il modo in cui dovrebbe essere servita. Nel brano egli elenca dieci qualità di cui deve essere dotato il pub perfetto, tra cui spicca la presenza di birra scura alla spina e la qualità del suo servizio: “..Credo che solo un pub su dieci a Londra serva birra scura alla spina, ma “La luna in fondo al pozzo” fa parte di quel dieci per cento. E’ una birra leggera, cremosa, che si gusta al meglio in un boccale di peltro. A “La luna in fondo al pozzo” sono molto scrupolosi nella scelta dei recipienti in cui vi servono le bevande. Per esempio, non fanno mai l’errore di porgervi una pinta di birra in un bicchiere senza manico. Oltre ai boccali di vetro e di peltro ne hanno alcuni di porcellana color rosa fragola che ormai a Londra si vedono solo raramente. I boccali di porcellana sono passati di moda una trentina di anni fa perchè la maggior parte della gente vuole vedere in trasparenza ciò che beve; ma io trovo che la birra abbia un gusto migliore nella porcellana..”.

L’amore per i pub e la birra è presente anche nel romanzo autobiografico “Un Tenero Barbaro” dello scrittore ceco Bohumil Hrabal. L’autore descrive così una scena della sua gioventù, bagnata dalla grandissima passione che lui ed i suoi amici nutrivano per la birra tanto da non limitarsi a berla ma arrivando persino a spalmarsi addosso la schiuma raggiungendo così un’unione totale con questa bevanda: “ […] A Vladimir, a Bondy e a me piaceva tanto la birra che, appena portarono al tavolo il primo boccale, tutti e tre facemmo inorridire l’intera birreria, raccoglievamo la schiuma con le mani, ce la spalmavamo sulla faccia e ci mettevamo la schiuma nei capelli come ebrei che si bagnano le pejess con l’acqua zuccherata, alla seconda birra facemmo il bis di spalmamento di schiuma, per cui eravamo lucidi di birra e il profumo si poteva sentire a un miglio di distanza. Soprattutto, però, era (quella esibizione spassosa) l’espressione della passione per la birra e della passione della giovinezza, che sprizzavamo da tutti i pori. Eravamo dei ganzi birreschi […]”.

Charles Bukowski ha spesso trovato nella birra una compagna di vita fedele, tanto che spesso la troviamo citata in molte sue opere. Il rapporto del poeta con l’alcol non è stato però sempre all’insegna del bere moderato, come paiono testimoniare anche queste malinconiche parole dovute ad una recente delusione d’amore: “ […]non so quante bottiglie di birra ho consumato aspettando che le cose migliorassero, non so quanto vino e whisky e birra, soprattutto birra, ho consumato dopo aver rotto con le donne, aspettando che il telefono squilli, aspettando il rumore dei passi, e il telefono non suona mai fino a molto tardi”.

Per concludere nel miglior modo possibile questo excursus birrario nella letteratura mondiale, non si possono trovare parole più gioiose di quelle scritte dall’autore contemporaneo francese Philippe Delerm ne “La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita”: “E’ l’unica che conta. Le altre, sempre più lunghe, sempre più insignificanti, danno solo un appesantimento tiepido, un’abbondanza sprecata. L’ultima, forse, riacquista, con la delusione di finire una parvenza di potere… Ma la prima sorsata! Comincia ben prima di averla inghiottita. Già sulle labbra un oro spumeggiante, frescura amplificata dalla schiuma, poi lentamente sul palato beatitudine velata di amarezza. Come sembra lunga, la prima sorsata. La beviamo subito, con avidità falsamente istintiva. Di fatto, tutto sta scritto: la quantità, né troppa né troppo poca è l’avvio ideale; il benessere immediato sottolineato da un sospiro, uno schioccar della lingua, o un silenzio altrettanto eloquente la sensazione ingannevole di un piacere che sboccia all’infinito…Intanto, già lo sappiamo. Abbiamo appreso il meglio. Riappoggiamo il bicchiere, lo allontaniamo un po’ sul sottobicchiere di materiale assorbente. Assaporiamo il colore, finto miele, sole freddo. Con tutto un rituale di circospezione e di attesa, vorremmo dominare il miracolo appena avvenuto e già svanito. Leggiamo soddisfatti sulla parete di vetro il nome esatto della birra che avevamo chiesto. Ma contenente e contenuto possono interrogarsi, rispondersi tra loro, niente si riprodurrà più. Ci piacerebbe conservare il segreto dell’oro puro e racchiuderlo in formule. Invece, davanti al tavolino bianco chiazzato di sole, l’alchimista geloso salva solo le apparenze e beve sempre più birra con sempre meno gioia. E’ un piacere amaro: si beve per dimenticare la prima sorsata”.

Fonte: testo liberamente tratto dalla Tesi di laurea di Bernardo Liberatore (www.tesionline.it)

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