Il luppolo italiano? Si coltivava già due secoli fa.

Oggi in Italia si parla tanto di filiera brassicola corta e di luppolo a Chilometro zero. Ma, come sempre, non abbiamo inventato niente. Già due secoli fa, infatti, un agronomo geniale di Forlì avviava una coltivazione di luppolo selvatico per il suo microbirrificio che produceva un’ottima birra italiana premiata a esposizioni internazionali.

Molte testimonianze e documenti attestano gli studi e le attività imprenditoriali del forlivese Gaetano Pasqui, un agronomo vissuto nell’800 e dotato di sorprendente genialità e voglia di mettersi in gioco. Avendo acquistato alcuni terreni soggetti a piene e ad alluvioni per la presenza di un fiume, notò che vi crescevano spontaneamente piante di luppolo selvatico che, com’è noto, ha bisogno di molta acqua per svilupparsi. Avviò quindi una coltivazione sperimentale di luppolo che in pochi anni ebbe successo e gli permise di avviare e gestire un proprio birrificio senza ricorrere alle importazioni dell’allora costoso luppolo d’oltralpe. La Filossera aveva in quel tempo devastato le vigne romagnole e la produzione di birra secondo il brillante imprenditore costituiva quindi una valida alternativa a quella del vino. Infatti, il birrificio Pasqui, a partire dalla seconda metà dell’800, diede grandi soddisfazioni al proprietario permettendogli di mantenere la famiglia. Si sa che nel 1863 furono smerciate ben trentacinque mila bottiglie di birra che dovevano essere di terracotta e capaci circa un litro. Quella di Pasqui fu la prima piantagione di luppolo selvatico coltivata in modo scientifico e il suo metodo riscosse grande interesse, non solo in tutta Italia, ma anche all’estero, tanto che il suo inventore fu nominato assistente alla cattedra di agronomia nella sua città natale. Quest’esperienza di successo fu pubblicata nell’opuscolo “Del luppolo coltivato da Gaetano Pasqui di Forlì”. L’affascinante esperienza di Gaetano Pasqui è raccontata in modo puntuale e dettagliato dal figlio Umberto Pasqui, nel libro “L’uomo della birra”, pubblicato per CartaCanta Editore nel 2010.

Pubblicato da paola baraldi

Fonte: liberamente tratto da Il Giornale della Birra

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