UNO STUDIO ESPLORATIVO SUL DECREMENTO DEI CONSUMI NEGLI ANNI 1970-2000.
A CURA DELL’ OSSERVATORIO PERMANENTE SUI GIOVANI E L’ALCOOL
Negli ultimi trent’anni in Italia il consumo di alcool – e di vino in particolare – si è praticamente dimezzato. Ammontava a 12,4 litri di alcool puro nel 1977, che sono scesi a 6,9 litri nel 2005. Una tendenza che sta portando il consumo di alcool verso i parametri raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità per il 2015 (6 litri pro capite).
Lo dimostrano i dati della ricerca promossa dall’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcool che ha fotografato in modo dettagliato i cambiamenti nei consumi di bevande alcoliche nel corso dell’ultimo trentennio. Si tratta del primo studio italiano in grado di raccogliere e analizzare praticamente tutti i dati disponibili sul consumo di alcool nella popolazione adulta, facendo ricorso anche a dati Istat inediti.
Secondo l’indagine gli italiani oggi preferiscono bere meno e con più attenzione alla qualità di cosa si beve. Si conferma dunque l’esistenza del cosiddetto modello mediterraneo del bere, che qualcuno ha definito come il “mistero italiano”: il vino è considerato di fatto un alimento, favorisce la convivialità, ed è centrale nei pasti e in famiglia. Un approccio, questo, che aiuta il consumo consapevole degli alcolici e limita quello finalizzato alla sbornia.
Questo meccanismo di autoregolazione è confermato dall’evoluzione, negli anni, dei consumi di un campione di quarantenni: se in gioventù alcuni di loro sono risultati più aperti a modelli di consumo Nord europei, con abusi frequenti fuori dai pasti e fuori casa, molti oggi hanno ripreso a bere in maniera moderata e responsabile come facevano i loro genitori, in linea dunque con l’esperienza culturale mediterranea.
LA CONFERMA: LIMITAZIONE SPONTANEA, IN ASSENZA DI DIVIETI E LEGGI IMPOSITIVE
L’indagine è stata condotta da due gruppi di ricerca: uno costituito dal Centro Alcologico dell’Azienda Sanitaria di Firenze, coordinato da Allaman Allamani, che si è avvalso del contributo di Francesco Cipriani per la parte quantitativa, l’altro costituito dal Gruppo di Studi sull’alcool dell’Università di Torino coordinato da Franco Prina.
“Con questa ricerca – spiega Allaman Allamani – abbiamo ricostruito storicamente le ragioni di quello che si potrebbe definire “mistero mediterraneo”. Nonostante la limitatezza delle politiche mirate al controllo dei consumi, infatti, in Italia le quantità di alcool pro capite sono in costante diminuzione. Questo studio conferma che la cultura alimentare mediterranea, definita “bagnata” per la tipica presenza del vino in situazioni familiari e durante i pasti, sembra costituire un sistema di autolimitazione del bere, che attutisce le situazioni problematiche, pur non sottovalutando l’esistenza di problemi alcolcorrelati in sottogruppi di popolazione come, ad esempio, i giovani”.
Le metodologie impiegate nello studio sono due: una quantitativa, che ha analizzato una serie di indicatori dei cambiamenti dei consumi alimentari e degli stili di vita a partire dagli anni Settanta, e una qualitativa che ha indagato il rapporto tra l’evoluzione degli stili di vita e la diminuzione nel consumo di alcolici. Per la fase qualitativa è stato fatto riferimento a una enorme mole di documenti tratti dalla letteratura scientifica (atti di convegni, database telematici, ricerche condotte in Toscana tra il 1977 e il 2002, fonti d’archivio Istat e dell’Osservatorio sui Giovani e Alcool).
Per la parte qualitativa invece è stata realizzata una serie di interviste su due campioni distinti: uno formato da uomini tra i 40 e i 45 anni e l’altro da uomini tra i 65 e 70 anni d’età.
CONSUMO DI ALCOLICI: SONO DI PIU’ LE PERSONE CHE BEVONO, MA BEVONO MOLTO MENO.
Rispetto al passato, nel nostro Paese si è allargato il numero dei consumatori ma contemporaneamente è calato il numero dei forti bevitori (quelli che bevono più di mezzo litro di alcool al giorno). Di conseguenza è diminuito sensibilmente il consumo pro capite. Se la birra ha conquistato il ruolo di bevanda dissetante e “socializzante”, mantenendo i propri consumi tre volte al di sotto della media europea (29 litri pro-capite contro oltre 80) il vino ha visto calare i suoi consumi da 93 litri pro-capite a meno di 50 litri a testa, restando comunque l’alcolico più amato dagli italiani e rappresentando il 70% del totale dei consumi di alcool puro.
DOPO IL BOOM DEGLI ANNI 50-60, ECCO LE RAGIONI SOCIALI DEL CALO SUCCESSIVO
Dalla ricerca emerge chiaramente come gli italiani abbiano modificato il loro rapporto con l’alcool proprio a partire dagli anni Settanta. Nei vent’anni precedenti il consumo era infatti cresciuto di pari passo con l’aumentare del benessere prodotto dal boom economico: il vino, elemento tipico della tradizione alimentare italiana, era ritenuto parte integrante dell’alimentazione.
Ma nel decennio successivo prende il via una tendenza che è andata gradualmente rafforzandosi: la quantità di vino consumata dagli italiani comincia a diminuire, destino comune agli altri alimenti della tradizione contadina come il pane, la pasta e i legumi.
Lo spostamento verso la città, il boom e l’aumento della disponibilità economica spingono gli italiani a comprare cibo e vestiario che riflettano i nuovi status sociali: ne fa le spese il vino. Il lavoro in fabbrica e nel settore terziario, richiedono minor dispendio calorico e maggiore attenzione rispetto al lavoro nei campi. Con l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro si hanno forti ripercussioni sulla vita domestica, soprattutto sui pasti: il mangiare in fretta, poco e fuori casa, allenta il legame tradizionale tra vino e pranzo (meno con la cena). Infine l’accresciuta attenzione alla salute, specie da parte delle fasce di età medio alte, si traduce in un atteggiamento di autolimitazione nelle quantità a favore di una selezione qualitativa.
SESSANTENNI: MENO OCCASIONI DI CONSUMO E PIU’ QUALITA’
Le opinioni espresse dai soggetti intervistati chiariscono l’evoluzione subita dagli stili del bere col passare degli anni. Emerge per esempio che la diminuzione dei consumi di vino è legata al calo della frequenza con cui si beve e, soprattutto, delle quantità consumate, in particolare per il vino a pranzo. Alla diminuzione delle quantità è corrisposto un innalzamento qualitativo delle bevande prescelte. Negli anni Ottanta e Novanta, anche su iniziativa delle istituzioni europee, infatti comincia a farsi strada una domanda di prodotti di qualità come le DOC e le DOCG, che in parte spiegano la contrazione della quantità di vino consumato.
In generale rispetto a trent’anni fa sono cambiati i luoghi, le situazioni e i consumatori. Gli italiani preferiscono ancora bere il vino ai pasti con i familiari, soprattutto la sera, e molto meno al bar con gli amici e per niente durante il lavoro.
La birra invece viene vista come bevanda per le relazioni sociali e amicali, anche se cresce l’importanza del fattore gusto e la cultura generale sul prodotto. I tradizionali tabù femminili, tipici delle culture mediterranee, non riguardano però il consumo di bevande alcoliche, cui le donne hanno sempre avuto accesso.
QUARANTENNI: NO AGLI ABUSI, VINCE IL MODELLO “MEDITERRANEO”
Ci sono però delle differenze nel consumo di alcool tra i due gruppi intervistati. Coloro che hanno tra i 65 e i 70 anni non hanno mai abbandonato il modello mediterraneo, molto legato alle tradizioni alimentari contadine. Il campione di intervistati ha confermato di preferire il vino alla birra e di farne un uso quotidiano durante i pasti in famiglia. Si evitano gli abusi a causa dell’aumentata attenzione alla salute fisica. Gli anziani bevono meno quotidianamente e meno in contesti esterni come lavoro e bar.
Coloro che oggi hanno quarant’anni invece dichiarano di aver modificato le proprie abitudini nel tempo. In gioventù hanno sposato uno stile del bere più vicino ai modelli culturali del Nord Europa (le cosiddette culture “asciutte” in cui prevale il consumo la scelta di birra e alte gradazioni alcoliche, si beve nel tempo libero e fuori dai pasti e sono più frequenti abusi con gli amici fuori casa).
Oggi invece sono tornati a bere – un po’ come facevano i loro genitori – all’insegna della moderazione: tra i quarantenni si è imposto nuovamente un consumo più tradizionale, quello classicamente alimentare.
La scelta di un modello di consumo differente in un’età più giovane è normale: in questo momento della vita prevalgono modelli più trasgressivi in opposizione con quelli familiari; in Italia però l’ingresso nella fase più matura, con l’inizio del lavoro, il matrimonio, la nascita dei figli, coincide con un consumo più consapevole e integrato nella vita quotidiana. Ciò confermerebbe il valore di autoregolazione e controllo offerto dal modello mediterraneo che, col passare del tempo, ha portato a una limitazione della media di consumo alcolico, in modo indipendente da politiche d’intervento mirate.
PIÙ ATTENZIONE ALLA SALUTE E MENO ABUSI: L’IMPORTANZA DELL AUTOCONTROLLO
Il modello mediterraneo sembra quindi agire come stabilizzatore dei diversi stili di consumo legati all’età: il vino si conferma un elemento di socializzazione. Il consumo finalizzato alla sbornia sembra perdere terreno, non solo tra gli anziani, tradizionalmente preoccupati per le loro condizioni di salute. La maggior parte degli intervistati attribuisce molta importanza all’“auto-controllo”, capacità che consente di distinguere l’uso “controllato”, “equilibrato”, “giusto” dall’uso improprio dell’alcool. Insomma, le bevande alcoliche vengono consumate prevalentemente in situazioni in cui il controllo sociale è più forte: gli eventuali abusi diventano saltuari, e in ogni caso regolati nell’ambito di norme collettive condivise.