Un nuovo studio dell’Università Cattolica di Campobasso dimostra che la moderazione fa bene pure dopo un evento vascolare: la riduzione del rischio è pari al 20%: un nuovo infarto evitato ogni 5. “ …E mi raccomando niente alcol!” Così dicevano anni fa i medici ai pazienti colpiti da infarto cardiaco.
Una ricerca italiana smentisce ora questa raccomandazione. Un paio di bicchieri al giorno infatti sono un toccasana anche per un cuore malato.
È quanto emerge da uno studio dei Laboratori di ricerca dell’Università Cattolica di Campobasso pubblicato in questi giorni sulla rivista americana Journal of the American College of Cardiology. La ricerca ha analizzato i dati relativi al consumo di alcol in pazienti già colpiti da un evento ischemico o cardiaco per vedere se la protezione dell’alcol già riscontrata nella popolazione sana fosse in qualche modo valida anche per chi invece aveva già avuto un evento vascolare.
In pratica, i ricercatori hanno analizzato dati relativi a oltre 16mila persone precedentemente colpite da un evento ischemico cardiovascolare. Nel corso degli anni successivi all’insorgenza della malattia, i pazienti sono stati seguiti per capire quali fossero le abitudini di vita, tra le quali il consumo di alcol, capaci di contribuire ad evitare un nuovo evento clinico.
Lo studio
Grazie al metodo statistico della metanalisi, che consente di mettere insieme dati provenienti da diversi studi per avere un’informazione generale sull’argomento, gli studiosi italiani sono riusciti ad attribuire un peso specifico al consumo di alcol (indipendentemente dal fatto che la bevanda consumata fosse vino, birra o un altro tipo di drink alcolico) nella prevenzione secondaria. “Ciò che abbiamo osservato – dice Simona Costanzo, epidemiologa e prima autrice dello studio – è che il consumo moderato e regolare di alcol ha un’azione benefica anche nei pazienti colpiti da infarto, ictus o altra patologia cardiovascolare ischemica. Non solo hanno minore probabilità di essere nuovamente colpiti da malattie del genere, ma anche la mortalità, per qualsiasi altro motivo, risulta essere più bassa rispetto a chi non consuma nessuna bevanda alcolica”. Stando ai dati dei ricercatori italiani, l’alcol bevuto in moderazione riesce a garantire una sorta di scudo protettivo anche a seguito di una patologia, guadagnandosi un ruolo importante nella prevenzione secondaria. La riduzione del rischio osservata è di circa il 20%, in pratica un evento risparmiato ogni 5. Si tratta – fanno sapere gli autori dello studio- di un vantaggio considerevole, analogo a quello già registrato in individui sani in ricerche effettuate in precedenza.
La parola chiave resta sempre “moderazione”
Ovviamente l’accento va posto non solo sulla quantità, ma anche sulle modalità di consumo. Non basta rispettare i canonici due drink al giorno per gli uomini e uno per le donne, bisogna fare molta attenzione anche a come e quando si beve. La regola è sempre la stessa: quantità moderate preferibilmente durante i pasti principali, come vuole la tradizione mediterranea. Assolutamente off limits le bevute scriteriate, quelle concentrate principalmente nei week end e quasi sempre fuori della tavola. La ricerca – fanno notare dai Laboratori della Cattolica- offre un altro elemento da considerare: che il bere sia non solo moderato, ma anche regolare. Un consumo moderato, distribuito lungo i giorni della settimana, è positivo. La stessa quantità di alcol “tracannata” in un solo weekend risulta al contrario dannosa.
Sfatato da una parte il tabù che le persone colpite da una patologia vascolare debbano poi immolarsi ad una vita ascetica senza possibilità di appello, i ricercatori ci tengono però a sottolineare che una persona astemia, sana o malata cha sia, non deve assolutamente iniziare a bere con l’idea di guadagnare salute. Lo studio conferisce quindi l’ennesimo riconoscimento a uno stile di vita che ha dimostrato di essere vincente su tutti i fronti, su quello della prevenzione cardiovascolare soprattutto.
Marialaura Bonaccio
(1) Costanzo S. et al., Alcohol Consumption and Mortality in Patients With Cardiovascular Disease: A Meta-Analysis, J Am Coll Cardiol 2010 55: 1339-1347
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